In ulteriore sviluppo, entrambe le direzioni, rigorosamente classica e popolare, si fusero e crearono un movimento letterario ampiamente diffuso in tutto il mondo colto, che di solito è chiamato pseudo-classico; ma all’inizio non fu affatto eccezionale come divenne nel diciassettesimo e soprattutto nel diciottesimo secolo. La fusione delle correnti classiche e nazionali si rifletteva principalmente nell’ampia diffusione letteraria della lingua italiana. Il predicatore dei diritti della lingua italiana, quale fu l’Alberti nel XV secolo, a cavallo del XVI secolo fu Pietro Bembo. La sua prima poesia, “Gli Asolani”, tratta dell’amore platonico cavalleresco, come allora era inteso dall’alta società.
Alla brillante e dotta corte di Papa Leone X, furono molti i poeti latini che continuarono la tradizione pontanese: Ercole Strozzi, Flaminio, Andrea Novagiero, ecc. Bembo, al contrario, prese a modello Petrarca e può essere considerato uno dei fondatori del Petrarchismo, che acquisì così il diritto di cittadinanza, accanto all’imitazione dei classici che anche Dubellay (XI, 361), uno dei primi rappresentanti dello pseudo-classicismo in Francia, riconobbe il sonetto e la canzona, insieme al latino tipi di testi. L’amore di Bembo per la sua lingua madre si esprimeva anche nelle Regole Grammaticali della Volgar Lingua, la prima esperienza della grammatica scientifica della lingua italiana. Bembo, originario di Venezia, cercò di scrivere in fiorentino, poiché non dubitava del riconoscimento del fiorentino dialetto come lingua letteraria d’Italia. L’idea di nazionalità è ormai saldamente radicata in Italia. Il suo portatore più importante era il famoso Niccolò Machiavelli.
Accanto a lui c’è Gvicardini (vedi VII, 204). Machiavelli, patriota severo e premuroso, che con ansia nel cuore ha seguito le sorti della sua patria, spesso si contrappone all’Ariosto, gioviale uomo di corte, come se non si accorgesse dei grandi eventi che lo circondano. Nel 1496 scrisse un’ode in latino, lodando la solitudine in seno alla natura.